Fino a pochi anni fa, ci si preoccupava se le rinnovabili potessero sopravvivere senza incentivi. Oggi si riflette più sulla grande capacità di diffusione delle rinnovabili. Il numero di veicoli elettrici ha raggiunto il milione nel 2015, ed è raddoppiato nel 2016. Paesi come la Francia e case automobilistiche come la Volvo, stanno già progettando un futuro senza motori a combustione interna. Anche nella generazione di energia elettrica, il contributo delle rinnovabili è cruciale: la provincia cinese di Qinghai per un’intera settimana del mese di giugno è stata sostenuta soltanto da rinnovabili. Inoltre nella prima metà del 2017, in Germania le rinnovabili (eolico, solare e idroelettrico) hanno rappresentato il 35% di tutta l’energia prodotta.
Da grandi ambizioni derivano grandi successi, soprattutto se si parla di rinnovabili. Sono sempre più i Paesi che puntano ad avere energia pulita: la California intende raggiungere il 60% di rinnovabili entro il 2030, le Hawaii il 100% entro il 2050. Anche se questi target non vengono raggiunti in maniera puntuale, secondo l’ Economist, i soli tentativi porterebbero dei benefici non indifferenti, sia in fatto di politiche sul clima a lungo termine, che sulla riduzione dei costi dell’eolico e del solare in un’ottica di economia di scala.
La conversione verso una forma di energia pulita rappresenta solo una parte della battaglia per la decarbonizzazione. I sistemi di riscaldamento e di raffreddamento così come quelli di cottura non solo sono responsabili dell’aumento delle emissioni, ma non lasciano spazio a strumenti alternativi a basso consumo. Anche la politica dei trasporti risulta irregolare: se venissero raggiunti gli obiettivi legati ai veicoli elettrici da qui a 10 anni, il settore del trasporto pesante, di quello interurbano, aereo e marittimo, non risulterebbero comunque coinvolti.
L’errore in cui spesso si incappa quando si parla del target “100% rinnovabili” è confondere il fine con i mezzi: il vero obiettivo è interrompere le emissioni provocate dall’effetto serra, come l’anidride carbonica. Porre troppa enfasi su una sola tecnologica (come il solare, l’eolico) potrebbe impedire la creazione di percorsi alternativi finalizzati alla riduzione della CO2.
Dopo anni di ricerche ed investimenti, ad esempio, è sbagliato non includere, tra i contribuenti alla decarbonizzazione, continua l’Economist, l’energia nucleare. La Germania di fatto ha aumentato le emissioni di CO2 in seguito alla decisione di abbandonare il nucleare. Nuove tecnologie come quelle che permettono di catturare l’anidride carbonica, risulterebbero vitali. Lo stesso contributo dell’efficienza energetica alla riduzione della CO2 risulta potenzialmente maggiore di quello delle rinnovabili. Sarebbe meglio, conclude l’articolo dell' Economist, come suggerisce l'accordo di Parigi, che i Paesi si concentrassero più sulle riduzioni delle emissioni piuttosto che sui target da fissare per l'energia rinnovabile.
SCARICA L'ARTICOLO