Sull'Huffngton Post, Agostino Re Rebaudengo, Presidente Elettricità Futura, spiega perché è necessario ritirare le misure contro le rinnovabili contenute nel Decreto Sostegni Ter.
Il mondo delle rinnovabili non ci sta. Si oppone al decreto Sostegni Ter, entrato in vigore il 27 gennaio e che ora dovrà affrontare l’esame del Parlamento per la conversione in legge. Ma il bello di questa disputa e che entrambi i contendenti – da una parte il Governo dall’altra gli operatori del settore elettrico e gli ambientalisti - rivendicano lo stesso obiettivo: calmierare il costo dell’energia.
Si critica soprattutto l’articolo 16 che, per il periodo febbraio-dicembre 2022, impone ai produttori di rinnovabili di restituire una parte dei profitti che potranno realizzare dalla vendita libera dell’energia. In base al decreto, i produttori rinnovabili dovranno restituire al Gse i profitti extra calcolati dalla differenza del prezzo attuale dell’energia rispetto alla media, molto più bassa, del periodo 2011-2020. Una misura considerata discriminatoria perché non si applica ai produttori di energia da fonti fossili.
Ecco in sintesi i numeri forniti da chi contesta la misura del Governo. I produttori di rinnovabili hanno siglato quest’anno un accordo con il Gse (Gestore dei servizi energetici) che prevede la fornitura di energia a un prezzo fisso per 20 anni. Il Gse è la società del ministero dell’Economia e delle Finanze deputata a collocare sul mercato l’energia prodotta da fonti pulite e a determinarne gli incentivi.
E il prezzo stabilito nell’accordo è di 65 euro al MWh, ovvero meno del 30% del costo medio dell’elettricità all’ingrosso certificato dal Pun, il Prezzo unico nazionale che ha chiuso gennaio a quota 224,50 euro al MWh. Un valore per la prima volta in flessione dopo i rincari degli ultimi mesi, ma pur sempre uno dei più alti di sempre. I prezzi, va ricordato, sono schizzati in alto trainati dal gas che negli scorsi anni si attestava intorno ai 20 euro al MWh. E che nei primi due mesi del 2022 è arrivato a 80 euro al MWh.
Lo ha ricordato Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, nell’audizione presso la Commissione Bilancio al Senato. Elettricità Futura è l’associazione di categoria delle imprese che operano nel settore elettrico, 500 aziende attive nella produzione e commercializzazione di energia, prodotta sia da fonti convenzionali che rinnovabili: un soggetto che rappresenta il 70% del mercato.
L’articolo 16 del decreto Sostegni Ter presenterebbe inoltre profili di incostituzionalità, perché, sostiene Re Rebaudengo (ma non è il solo), introduce un regime impositivo più gravoso soltanto per una categoria di operatori.
Per raggiungere l’obiettivo europeo 2030 di riduzione delle emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990, entro 9 anni il 72% dell’elettricità in Italia dovrà essere prodotta da rinnovabili. Ma se vediamo il ritmo delle nuove installazioni ci accorgiamo che siamo pesantemente fuori rotta. Ogni anno installiamo all’incirca 1 GW di nuova potenza rinnovabile. Abbiamo bisogno di 70 GW in 9 anni, poco meno di 8 all’anno. Intervenire con un provvedimento che intacca i ricavi a venire non sembra una scelta coerente con la necessità di stimolare e garantire gli investimenti necessari.
Secondo le stime di Elettricità Futura, se già oggi avessimo raggiunto l’obiettivo 2030 del 72% di generazione elettrica da rinnovabili, la bolletta elettrica per il 2022 del Paese sarebbe di 44 miliardi di euro. Con un risparmio di 50 miliardi sul valore che saremo effettivamente costretti a pagare (95 miliardi).
Gli operatori del settore chiedono al governo un’opera straordinaria di semplificazione e una pressione su Regioni e enti locali. C’è bisogno di risposte rapide sulle autorizzazioni, sia per i nuovi impianti che per l’adeguamento di quelli esistenti. Nonché di identificare entro la fine di quest’anno, come previsto dalla direttiva europea RED2, le aree idonee per l’installazione delle rinnovabili.
L'articolo di Francesco Sellari.