Accogliamo con favore la trasmissione del Decreto Ministeriale (DM) aree idonee alla Conferenza Unificata per acquisire il relativo parere, colmando un ritardo che si era accumulato da oltre un anno e mezzo. L’adozione del Decreto sbloccherebbe il primo step di un percorso fondamentale per far ripartire gli investimenti nel settore delle fonti rinnovabili, necessari a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030, sebbene sarà ancora necessario il recepimento di tale Decreto da parte delle regioni con emanazione di leggi regionali e aggiornamento dei piani paesaggistici nei prossimi 6 mesi.
Positiva la previsione di un obiettivo nazionale di potenza aggiuntiva di 80 GW di potenza rinnovabile al 2030, superiore ai 73 GW indicati nella bozza di aggiornamento del PNIEC, che è sostanzialmente in linea con il target indicato dal Piano 2030 di sviluppo del settore elettrico elaborato da Elettricità Futura in coerenza con il REPowerEU. È un target fattibile e coerente con le priorità del nostro Paese, e auspichiamo che le Regioni, i Comuni e gli Enti territoriali colgano questa occasione per un deciso cambio di passo, anche al fine di abilitare i relativi investimenti e benefici per lo sviluppo del tessuto economico del nostro Paese.
Positiva inoltre la conferma esplicita delle aree idonee già identificate dalle disposizioni normative nel frattempo adottate ed in particolare l’inclusione dei siti oggetto di repowering.
Emergono tuttavia alcune criticità nei criteri per l’individuazione delle aree idonee, che, se confermate, rischiano di vanificare gli effetti dell’introduzione delle aree idonee e rallentare se non impedire l’effettivo raggiungimento dei target. Ad esempio:
- il Decreto introduce limiti espliciti di utilizzo del suolo agricolo per impianti fotovoltaici, creando una fortissima barriera allo sviluppo della nuova capacità rinnovabile fotovoltaica attesa dal Paese. Prevede infatti un utilizzo massimo del suolo agricolo nella disponibilità del proponente non superiore al 10% per gli impianti a terra, vincolo che, oltre a ridurre fortemente il numero di aree disponibili per lo sviluppo di impianti rinnovabili, avrebbe un forte impatto sul costo dei terreni necessari: a parità di altre condizioni, il costo del terreno sarà pari a 10 volte il valore che si avrebbe in assenza del limite percentuale previsto, con evidenti ricadute anche sul costo del kWh prodotto dall’impianto.
Anche nel caso di impianti agrivoltaici standard sono introdotte percentuali massime di utilizzo del suolo agricolo pari al 20% (limiti persino più stringenti di quelli indicati dalle Linee Guida del MASE del 2022 per l’accesso agli incentivi).
Tali limitazioni di utilizzo del suolo appaiono in contrasto (i) con la normativa nazionale - che non impedisce lo sviluppo di impianti rinnovabili su terreni agricoli, ma limita al più, nel caso di FV a terra, l’accesso a meccanismi di sostegno - e (ii) con le stime effettuate da numerosi stakeholder e associazioni del settore circa il potenziale impiego di suolo estremamente limitato[1] legato al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione del Paese.
ll Decreto dovrebbe pertanto prevedere criteri per l’identificazione delle aree idonee e non introdurre vincoli di utilizzazione delle stesse.
- I criteri di ventosità per l’individuazione delle aree idonee per gli impianti eolici sono eccessivamente stringenti. Il Decreto considera adeguata una ventosità tale da garantire una producibilità maggiore di 2.250 ore annue, per riconoscere come idonea una determinata area. Tale valore, oltre a essere di complessa verificabilità, è troppo elevato rispetto alle condizioni medie di ventosità. La sua introduzione andrebbe peraltro in senso opposto rispetto agli interventi di altri paesi europei nei quali la produzione eolica in zone a minore ventosità è addirittura tutelata con incrementi tariffari[2]. La soglia andrebbe pertanto eliminata, lasciando in capo all’investitore il “rischio commerciale” di performance dell’impianto e relativo investimento.
- Il Decreto prevede distanze minime (buffer) tra i beni sottoposti a tutela e gli impianti eolici pari ad un valore minimo di 3 km, che può essere elevato sino a 7 km nel caso di beni culturali identificati come “di pregio”. Tale previsione, se confermata, si tradurrebbe sul territorio nell'impossibilità di realizzare impianti nella stragrande maggioranza dei territori regionali e andrebbe pertanto integralmente stralciata.
- Non si riscontrano nel Decreto misure di tutela e salvaguardia dei progetti sviluppati dagli operatori coerentemente con la normativa vigente alla data in cui sono stati avviati.